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Ritratto di Madre Francesca Montioux, 1628
L'identità del personaggio raffigurato è attestata dall'iscrizione presente in alto sulla tela: 'LA MADRE FRANCESCA MONTIOUX FRANCESA - ÆTATIS 50 - ANNO 1628'. Si tratta del ritratto di Madre Francesca Montioux all'età di 50 anni.
Figlia di Claudio Montioux, appartenente a una nobile famiglia parigina, Francesca nutriva fin da bambina il desiderio di conservare la propria verginità e dedicarsi completamente al Signore. Ancora molto giovane, rifiutò il matrimonio imposto dai genitori e decise di seguire la propria vocazione. Fuggì segretamente dalla casa paterna e si rifugiò presso le suore cappuccine, vestendo l’abito di San Francesco: una tonaca grigia con il cordone, un soggiolo bianco in testa, e sempre scalza, indossò quell’abito, sia d’estate che d’inverno, fino alla morte. I genitori tentarono invano di ritrovarla e ormai libera, Francesca fu animata dal desiderio di recarsi in Terra Santa, fermandosi prima a Roma, dove giunse all’età di 20 anni per ricevere la benedizione da Papa Clemente VIII, il 23 marzo 1598. A Roma fu accolta nella casa della Contessa di Santa Fiora, dove ebbe modo di incontrare il Sommo Pontefice. Questo, preoccupato per la sua figura magra e delicata, la sconsigliò dal proseguire il viaggio verso la Palestina, temendo per la sua sicurezza attraverso terre infedeli. Le ordinò di considerare Roma come la sua 'Gerusalemme' e di non partire. Francesca, obbediente alla volontà papale, accettò il consiglio e, nel cuore, si unì spiritualmente a Gesù Cristo, dedicando la propria vita alla sua missione spirituale.
Poco dopo, conobbe la fiamminga Francesca Gorsij, grazie al comune legame con il confessore Padre Antonio Riccioni, penitenziere in San Pietro. Francesca Gorsij era giunta a Roma dalle Fiandre nel 1600, durante l'Anno Santo. Da giovane era stata affidata a una zia monaca per ricevere un'educazione cattolica. Nonostante il desiderio di consacrarsi a Cristo, fu costretta dai genitori a sposare un gentiluomo fiammingo. Rimasta vedova dopo soli diciotto mesi, decise di dedicarsi completamente a Dio. Si recò a Colonia, dove visse cinque anni impegnata in opere di carità, sostenendosi con il proprio lavoro e donando tutto ciò che aveva in più ai poveri. Successivamente, partì per Roma come pellegrina.
Nel 1602, le due Francesche fondarono insieme la Congregazione di Santa Orsola, presso il convento delle Sante Rufina e Seconda in Trastevere. L’opera era dedicata alla formazione spirituale di giovani zitelle consacrate a Dio. Nonostante le difficoltà iniziali, tra cui la povertà, riuscirono a portare avanti il loro progetto, vivendo di elemosine e lottando per ottenere il riconoscimento ufficiale.
Dopo la morte di Francesca Montioux, avvenuta nel 1628, la guida della Congregazione passò a Francesca Gorsij. Entrambe furono ammirate per la loro santità e lasciarono un’impronta profonda nella vita spirituale romana. Francesca Gorsij morì nel 1641, ma l’opera da loro avviata continuò a prosperare, ispirata dal loro esempio di carità e devozione.
Il ritratto fu con ogni probabilità realizzato da una monaca della stessa comunità. Le Oblate di Santa Orsola seguivano una regola molto rigida e conducevano una vita ritirata, il che rendeva poco plausibile l’ingresso di uomini nel convento, nemmeno per motivi artistici. È quindi probabile che il dipinto sia nato all’interno del convento, come frutto del lavoro di una religiosa. Nelle comunità femminili del tempo, non era raro che alcune suore fossero istruite in arti come la pittura, la musica o la calligrafia, spesso vissute come forme di devozione o strumenti per documentare la vita spirituale.
L’opera, pur semplice nello stile e sobria nei dettagli, riesce a trasmettere la dignità del ruolo della madre superiora e lo spirito di raccoglimento che caratterizzava la Congregazione.
Il ritratto fu con ogni probabilità realizzato da una monaca della stessa comunità. Le Oblate di Santa Orsola seguivano una regola molto rigida e conducevano una vita ritirata, il che rendeva poco plausibile l’ingresso di uomini nel convento, nemmeno per motivi artistici. È quindi probabile che il dipinto sia nato all’interno del convento, come frutto del lavoro di una religiosa. Nelle comunità femminili del tempo, non era raro che alcune suore fossero istruite in arti come la pittura, la musica o la calligrafia, spesso vissute come forme di devozione o strumenti per documentare la vita spirituale.
L’opera, pur semplice nello stile e sobria nei dettagli, riesce a trasmettere la dignità del ruolo della madre superiora e lo spirito di raccoglimento che caratterizzava la Congregazione.
olio su tela
cm 97x72,5 - con cornice cm 116x91,5
Bibliografia:
Ernesto Iezzi, Studio storico della chiesa e del monastero delle SS. Rufina e Seconda in Trastevere, Roma, San Nilo, 1980
Ernesto Iezzi, Studio storico della chiesa e del monastero delle SS. Rufina e Seconda in Trastevere, Roma, San Nilo, 1980
Pierre Hélyot and Maximilien Bullot, Histoire des ordres religieux, vol. 4, Paris, 1715, pp. 229-32, Suite de la Troisieme Partie, Chap XXXI
Filippo Bonanni’s Ordinum religiosorum in ecclesia miltanti catalogus, v. 2, n. 103
Iconografia Storica degli Ordini Religiosi e Cavallereschi, Opera di Gaetano Giucci, Roma 1845, Vol III, pg. 158-159
Marie-Andrée Jégou, Les Ursulines du Faubourg St Jacques à Paris 1607-1662, Origine d'un monastère apostolique, Presse Universitaires de France, Paris, 1981€ 600,00 / 1.200,00
Stima
Asta Live 171
Dipinti Antichi
Roma, Palazzo Celsi, mar 20 Maggio 2025
TORNATA UNICA 20/05/2025 Ore 15:00
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